
Una lucertola fa capolino tra le mattonelle ai giardinetti

Il campanile della Sé, la Cattedrale del XIII secolo

Per le strade coloniali del centro di Funchal

Banco di frutta tropicale e non, al mercato 'dos lavradores'

Mostra di statue africane nei padiglioni del museo al Monte Palace

Padiglione cinese nei giardini del monte Palace

Funchal in avvicinamento, dall'alto della teleferica

L'aereo della SATA che da Funchal mi porterà a São Miguel

Pitture decorative all'aeroporto Giovanni Paolo II di Ponta Delgada

Il campanile della Chiesa di São Sebastian, passata mezzanotte
L'alba torrida di Madeira mi trova sveglio a domandarmi se la mia valigia, come promesso all'aeroporto la sera prima, sia davvero arrivata nottetempo. Il rumore di qualche furgone fermatosi sotto l'albergo
mi ha fatto pensare che le cose possano davvero essere andate per il verso giusto. Non è così e allora, che fare? Restare in hotel ad aspettare? Sarebbe stupido. Funchal mi aspetta di fuori.
La sera prima ho adocchiato un
centro commerciale. A visitarlo si rivela invero mediocre ma contiene almeno un negozio dove comprare una polo e un paio di shorts. Torno in hotel per cambiarmi e prendo decisamente la via del centro città, sempre attaccato
al telefono con l'ufficio bagagli smarriti della TAP a
perguntar della mia maleta perdida.
Lungo la strada che mi porta dall'hotel, che si trova vicino al casinò e quindi in posizione leggermente periferica, verso il centro, alla ricerca di scatti interessanti passo in un lungo giardino che costeggia la strada.
Qui, in una piccola area sovrastante un tunnel per le auto che passa a livello del mare, ci deve essere una sorta di microclima perfetto per lucertole che brillanti al sole caldo di mezz'agosto gironzolano senza alcuna
timidezza. Ce n'erano a decine, un po' più grosse di quelle che abitano dalle nostre parti. Nella foto accanto se ne vede una sgusciare fuori dalla tana.
Riprendo il mio cammino verso il centro, corazzato da un insolito quanto incrollabile ottimismo. Mi ricongiungerò alla valigia per tempo, nell'attesa non bisogna perdersi l'occasione di godersi la giornata. Camminando in discesa vedo solo palazzi
moderni fino al momento in cui di fronte a me appare la Cattedrale. Il centro in stile colonial mi fagocita, decido di fagocitare anche io una bella colazione. Seduto ad un tavolino mi rifocillo con galão e pasteis alla crema.
I dieci minuti di pausa mi consentono di apprezzare il bar, molto poco trendy e turistico, frequentato da clienti abituali. I posti che preferisco quando sono in viaggio. Non mi interessa frequentare luoghi che sembrano uguali a tutte le latitudini.
Il caldo è intenso ma non opprimente, trovo sia più fastidioso la sera. Quattro passi e mi trovo circondato da una folla di persone con sacchetti di cellophane di vari colori, ricolmi di merci di ogni tipo, segno evidente della presenza di un mercato.
È quello detto
dos lavradores, dei lavoratori. Probabilmente è quanto di più simile ad un mercato tropicale ci si possa immaginare. Il mercato, suddiviso in più piani, comprende una sezione in cui vengono venduti fiori, un'altra in cui trova
posto merce di vario tipo, una fantastica, a piano terra, in cui il pesce la fa da protagonista assoluto e una, al piano rialzato in cui invece è la frutta e la verdura a monopolizzare i banchi. Un autentico tripudio di colori sgargianti e di odori speziati
prodotto delle centinaia di prodotti dei tropici che si possono acquistare. Il tutto in una confusione in cui è facile distinguere tra la popolazione locale che valuta con attenzione quanto deve comprare e i turisti divertiti che scattano fotografie ad ogni
scorcio caratteristico, ed io tra loro.
Resisto alle tentazioni, e, a mani vuote, mi dirigo verso la stazione di partenza della
teleferica, in Almirante Reis. Il viaggio, un quarto d'ora circa, è davvero spettacolare. I 560 metri di dislivello si sentono nelle orecchie e nel clima che si fa velocemente più fresco.
Sotto di me la città si allontana, le case aggrappate sulla collina e i colori dei mille tetti rossi sulle case bianche in riva ad un mare che visto da qui sembra ancora più azzurro che vengono mano a mano scacciate da una vegetazione rigogliosa. Sotto di me passa anche
l'autostrada. Nel pomeriggio, in taxi, vi passerò anche io.
A destinazione si trova il
Monte Palace Jardim. Si tratta di un parco molto esteso in cui oltre a moltissimi esempi di flora tropicale, trovano posto anche un museo con una interessante collezione di minerali, con degli splendidi geodi, e una di statue lignee provenienti dallo Zimbabwe.
Nel giardino, inoltre si trovano parecchi uccelli e un curioso e inaspettato padiglio in stile cinese il cui rosso si staglia tra il verde quasi opprimente. E in tutto questo, la mia valigia? Ancora dispersa, tra le occhiate di disappunto dei turisti che mi passano accanto mi
nella più violenta conversazione di cui il mio portoghese sia stato capace. In fondo la partenza si avvicina e sarebbe fastidioso andare alle Azzorre con la valigia che continua autonomamente il suo giro lusitano. Decido che è ora di tornare.
Esco da un'uscita laterale del parco e mi ritrovo su una stradina molto ripida. In lontananza uno strano fruscio che si fa presto inquietante rombo. Da dietro una curva appare un mezzo di trasporto alquanto insolito velocissimante lanciato in discesa. A bordo due turisti con la faccia da montagne russe.
A scortarli di corsa due indigeni in costume tipico. Si tratta di un
. Una strana slitta apparentemente in vimini che una volta veniva utilizzata a Madeira per venir giù dalla collina. Che farsi i 600 metri di dislivello da me superati grazie
alla teleferica, in discesa, sopra a uno di quei cosi, fosse pratica comune faccio fatica a crederlo ma pare fosse così. A me comunque fare solo 100 metri circondato dalle attenzioni di uomini con paglietta in testa mi sembra stupido e troppo turistico. Eccomi quindi di nuovo sulla teleferica per tornare a Funchal.
Questa volta percorro rapido il Lungomare in direzione del porto commerciale e mentre cammino giunge liberatoria la telefonata dall'hotel. La valigia è lì. Chiusa una pagina di dubbi, se ne apre un'altra. In che condizioni sarà, mancherà nulla? Pochi minuti e lo saprò.
Miracolo, la valigia è sana e salva. Tutto ok tranne un piccolo particolare. La valigia è stata chiaramente forzata. Il lucchetto è aperto e ci sono chiari segni lasciati da una lima o da altro attrezzo servito a svellerlo. Dentro però non manca nulla. Tutto mi lascia pensare che si è trattato di un qualche controllo di polizia nato da chissà quale equivoco e
l'anarchico che cova in me si infuria. Qualcosa ne scriverò, qualche giorno dopo nel mio blog in un post dal titolo Valigie indipendenti.
Adesso però è il sollievo da scampato pericolo che prevale. Prendo il PC e scarico la memoria della macchina fotografica ormai piena. Mi resta ancora un po' di tempo dato che, per andare all'aeroporto, ho deciso di prendere un taxy e allora ne approfitto per andare a farmi una Cervezinha, per festeggiare e rinfrescarmi.
Lascio Funchal senza particolare dispiacere. Non è un posto che mi è piaciuto particolarmente. In un altro mio post ho detto che Madeira è il miglior posto per vivere, ma soltanto se sei una pianta. All'aeroporto fatto il check-in e rilasciata la valigia, provvista di nuovo lucchetto, con qualche preoccupazione
in più, mi avvio al bar dalla cui terrazza vedo arrivare sulla pista antistante il mio aereo delle linee Azzorriche, la SATA airlines. Al bar ho modo di provare tutti i tipi di vinho da Madeira. Con calma apprezzo in rigoroso ordine il Seco, il Meio-Seco, il Meio-Doce e infine il Doce.
Il volo mi sembra molto più piacevole, sarà che la predisposizione d'animo è adesso decisamente migliore. Sento che finalmente la meta reale del viaggio si avvicina. Fino ad ora si è trattato di un semplice antipasto. Già, ma a proposito... Farò a tempo a cenare? Il volo, peraltro puntuale, è partito un quarto alle otto e dura un'ora e quaranta. Davanti, penso tra me
e me, non mi attende una località dalla vivace vita notturna. Troverò almeno uno snack-bar dove placare la mia fame?
L'aeroporto Giovanni Paolo II, di Ponta Delgada, così chiamato dopo la visita del Papa nell'isola di qualche anno prima, è grande, più di quanto mi aspettassi. La sala del ricevimento bagagli è ornata tutt'intorno da una fila di pitture molto colorate che fotografo venendo subito ripreso dalle guardie. Ripongo la macchina fotografica e, mentre adocchio la valigia
placidamente scorrere sul nastro trasportatore, vedo che gli orologi, tutti gli orologi, segnano le 20:30. Il mio fa le nove e mezza. Che sia fuori uso tutto il sistema? Afferro il mio bagaglio e chiedo a quelle stesse guardie che mi hanno cazziato le quali gentilmente mi segnalano che qui alle Azzorre, sì è un'ora indietro rispetto al Portogallo continentale, quindi due
rispetto all'Italia. Subito realizzo con gioia che allora non dovrei avere problemi a cenare.
Taxy, pochi minuti e sono in hotel. Qui c'è un piccolo problema. Devo aver fatto casino quando ho prenotato e quindi mi hanno riservato la camera solo per una notte, domani dovrò trovare un altro posto. Alla reception, comunque, mi assicurano che ci penseranno loro. Tranquillizzato, mi cambio e scappo in centro a cenare. Lascio perdere la guida e mi faccio guidare dall'istinto.
Approdo così al Restaurante Nacional, posto in mezzo tra due vie parallele del centro, con ingresso da entrambe. Cucina tipica. Ho subito modo di provare il formaggio dell'isola di São Jorge, il vino rosso dell'isola di Pico e uno spettacolare filetto di una specie di tonno detto Albacora. Soddisfatto, pago il conto,
onesto, e prima di tornare in albergo, faccio due passi in centro. La serata è piacevole, il clima è fresco e tutto lascia presagire che il tempo sarà bello anche l'indomani. Il programma che ho in mente è impegnativo anche se ancora non immagino quanto, ma questa è un'altra storia.